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ARRESTATO PER IL PASSATO! RESTATO PER IL FUTURO!

ARRESTATO PER IL PASSATO! RESTATO PER IL FUTURO!

Carcere: c’è chi fugge e chi non lo farebbe mai. Perché?

È una questione di prospettiva! Come ha detto don Gino Rigoldi, nell’intervista pubblicata il 27 dicembre 2022 su la Repubblica: “è dura far capire a questi ragazzi che con un lavoro ci si può riabilitare”. È vero. Ma quando riescono a comprenderlo si ribalta la prospettiva, è un dato di fatto a cui assistiamo puntualmente. Alcuni ragazzi ristrettì accettano, perché capiscono il senso fortemente riabilitativo, di prolungare anche di qualche mese la loro detenzione in carcere. Ma come avviene questo?

Grazie al capace lavoro degli educatori interni all’istituto e a quello abile e fine, della polizia penitenziaria che non si occupa qui solo di contenimento, ma anche di indicare e sostenere le scelte sane in corso di attuazione, alcuni ragazzi vengono inviati a partecipare alle attività di laboratori interni, specializzati in formazione di identità lavorative. Questo elemento tecnico di intervento risulta determinante nel cambiamento della realtà della persona. Chi ne comprende la portata, coglie la possibilità di deviare dalla devianza. Di uscire, cioè, da un percorso di delinquenza intrapreso per realizzarne un altro costituito di lavoro, onestà, ritmi e prospettive totalmente differenti. Spesso ci rendiamo conto è una questione di prospettiva: lo stesso mondo che tutti viviamo, appare differente se guardato con gli occhi dei ragazzi che lo vedono da dentro, che lo hanno guardato prima con gli occhi delle bande o delle sottoculture devianti, fortemente condizionati dal disagio e dal bisogno del vezzo, quasi mai da quello dalle necessità vitali. Questa serie di punto di vista e spesso di insieme di valori, viene avvicinato e sostituito, con quelli relativi alla vita lavorativa. Un’ottica e una prospettiva di vita che ormai non è più veicolata su larga scala, e quindi non può essere accolta con alcun appeal dai ragazzi. Iniziare ad approcciare una vita lavorativa a partire dagli aspetti ideologici ed immediatamente pratici, spesso risulta l’approccio incisivo per determinante la svolta. Non si tratta quindi solo di insegnare un lavoro “vero” (tutti i lavori sono veri, non esistono lavoro finti), ma di lavorare con il ragazzo in formazione per aiutarlo a formarsi in una nuova prospettiva di vita, per cui il lavoro risulta il nesso tangibile con cui sperimentare direttamente la veridicità dei concetti proposti. In pratica, chi accede ai laboratori di questo tipo, inizia con i normali orari delle attività formative interne 9-12 circa, per poi arrivare a frequentare il laboratorio per tutta la mattinata 8.30-12.30, grazie all’indispensabile strumento dell’art. 21 interno, fino ad estendere la sua permanenza alle 16.30. Se ne evince che la giornata viene trascorsa, come in una “vita normale” in ambiente lavorativo. Nel pomeriggio tardo, finito il lavoro, di solito questi ragazzi partecipano ad attività sportive. Quando si arriva vicino al fine pena, si apre la possibilità di accedere al proseguo della formazione in un laboratorio simile, ma esperto al carcere. Non sempre però i tempi della legge coincidono con quelli dei posti disponibili all’esterno. Succede così che in accordo con gli attori responsabili della situazione educativa, legale e giudiziaria, il ragazzo chieda di poter non avvalersi di alcune possibilità anticipative della scarcerazione, per arrivare a far collimare il più possibile l’inserimento presso l’altro laboratorio fuori.  

Lavorare dentro al carcere per creare prospettive per il futuro, viene percepito, colto e attuato anche dai diretti interessati. Spendere in maniera utile il tempo di reclusione per creare competenze diventa fondamentale per la detenzione di questi ragazzi e per la loro vita. Alcuni ragazzi accettano di stare qualche mese in più all’interno del Beccaria per poter portare avanti la formazione e completare le loro competenze lavorative.

Tutto ciò ha poi una ricaduta importante in vari ambiti della realtà sociale e personale dei ragazzi, un giovane a fine percorso pienamente inserito nel mondo del lavoro, diventa risorsa per tutti e per sé stesso, ne giova la sua famiglia di origine e quella che lui stesso creerà, ne beneficia il contesto sociale del territorio che avrà una percezione della sicurezza meno preoccupante. Non c’è dubbio, potenziare tali percorsi virtuosi è la cosa migliore da fare per riportare alla legalità ragazzi che altrimenti sono destinati, nella maggioranza dei casi a recidivare in reato.

 

Dott. Massimo Garbagnoli, responsabile scientifico progetto Cidiesse Beccaria

Antonio Baldissarri, Presidente Cidiesse coop. Soc. rl